Articoli di Giovanni Papini

1954


La città del fuoco

Pubblicato su: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXIX, fasc. 51, p. 3
Data: 28 febbraio 1954




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   L'offensiva di neve e di ghiaccio dei passati giorni ha fatto rinvenire nella mia memoria una singolare città che visitai, per un dirottante capriccio, parecchi anni fa.
   I cartografi antichi la chiamavano Piropoli: ora ha un nome arabo che non riesco a ritrovare nei miei appunti. Giace, questa città, in una valle stretta e fredda, nella parte più settentrionale e più inospite della Persia.
   Il nome di Piropoli le conveniva a meraviglia. Vi giunsi di sera, tardi, e mi accorsi che le strade erano illuminate soltanto da fastelli di legna resinosa che bruciavano su dei bacili di ferro posati in cima a colonne di media altezza. La mia guida — un maestoso Parsi che parlava assai bene l'inglese — mi disse che s'era capitati alla vigilia di una festa grossa e mi propose di assistere al Trionfo della Fiamma che doveva cominciare tra una mezz'ora.
   Fummo condotti un po' fuori della città, dove, a ridosso di un colle, sorgevano case e moschee fatte alla meglio con rozzo legname. S'estolleva nel mezzo una specie di torre magra, composta di tronchi squartati, tinti di rosso: in cima, da un gabbiotto traforato, sporgeva una gialla torcia fumigante. Nella piazza erbosa che si stendeva dinanzi a quella città posticcia s'erano accovacciate in terra centinaia di persone che nascondevano i visi sotto i lembi di lanosi mantelli scuri. Da quella moltitudine non usciva mormorio né parlottio: pareva una distesa di fagotti abbandonati.
   Dopo qualche minuto apparvero, ai due lati di quegli edifizi provvisori, due ragazze giovanissime, quasi bambine, serie e belle. Avevano un guarnello vermiglio e ciascuna portava in mano un torcetto acceso. Si udì, venuto chissà di dove, un acuto a solo di tromba. A quel segnale le due ragazze accostarono le faci ai due estremi della finta città. Il legno doveva essere imbevuto di qualche sostanza infiammabile perché in pochi attimi il fuoco cominciò a lingueggiare allegramente, con lieti schianti e fiotti di fumaglia.

* * *
   Allora tutti gli spettatori, fino a quel momento immoti e muti, balzarono in piedi, si scopersero le faccia e cominciarono a modulare un canto tetro e crudele, che via via, quasi ad incitare le fiamme, si faceva più ansante e lacerante. Molti battevano i piedi, molti saltavano tenendosi per mano, alcuni, interrompendo quel coro demoniaco, si abbracciavano e si baciavano. Al lume rosso del fuoco si scoprivano volti beati, quasi estatici, come di angeli mori in delirio. Tornammo a lenti passi in città e le nostre ombre si allungavano sulla strada arrossata dai morenti bagliori. La mia guida mi disse che quella festa si celebrava soltanto ogni tre mesi ma che tutte le sere v'erano spettacoli di fuochi artificiali e di cascate color fiamma.
   Arrivammo in una vasta piazza circolare formata da facciate convesse di palazzi con portici ad arco tondo e mi accorsi che,ad ogni colonna corrispondeva una statua. Chiesi alla mia guida chi fossero quelle figure di marmo e perché si trovassero lì. «Sono, — mi rispose, — le immagini di quelli che noi consideriamo protettori della città perchè divennero famosi grazie al fuoco. Tra i più noti a voi occidentali vedete la statua di Erostrato che incendiò il tempio di Diana, ad Efeso, quella di Thais che indusse Alessandro Magno ad appiccare il fuoco al palazzo di Persepoli, quella di Nerone che fece bruciare Roma, quella di Omar che distrusse con le fiamme Alessandria d'Egitto, quella di Rostopcin che fece ardere le case di Mosca per costringere Napoleone a ritirarsi, quella di Gorki che parlò con tanta indulgenza degli incendiari e quelle di molti altri, sconosciuti in Occidente. Vi sono anche raffigurati quelli che finirono nel fuoco la vita per volontà propria, come Empedocle che peri nel gorgo igneo dell'Etna; Calano gimnosofista che volle finire la sua vita sopra un rogo; Peregrino che fece la stessa fine a quanto narra Luciano. E vi sono anche parecchi di coloro che furon bruciati per sentenza dei giudici, come ad esempio Giovanna d'Arco e quel mistico Hallaj che dopo il supplizio, venne arso a Bagdad perchè eretico. Laggiù in quell'angolo potrete vedere Muzio Scevola che pone la sua mano destra sopra il bracere acceso e Ercole ravvolto dalle fiamme della camicia di Nesso. Questa piazza è il centro della città e in uno di questi palazzi vi è una galleria, dove potreste trovare una copia dell'Incendio di Borgo di Raffaello, dell'Incendio di Babilonia di Monsù Desiderio, dell'Incendio di Sodoma di Corot, dell'Incendio di Troia di Andrea Schiavone. Nel palazzotto a destra vi è una biblioteca dove son raccolti tutti i libri, scientifici o poetici, che hanno, nel tema o per lo meno nel titolo, relazione col fuoco, cominciando dalla Pirotechnia del Biringuccio, fino ai più recenti trattati di termodinamica. Vi figurano naturalmente la famosa Llama de amor viva di San Giovanni della Croce, Les filles du feu di Gerard de Nerval, I fuochi di S. Giovanni di Sudermann, Il Fuoco di D'Annunzio, Feuerwerk di Wedekind, Fuoco e notte di Janis Rainis, Fuochi di Bivacco di Oriani, Fuochi di artifizio di Govoni, Le feu di Barbusse, L'incendiario di Palazzeschi, e moltissimi altri che non ricordo».

* * *
   Era già tardi e mi feci accompagnare all'albergo. La mattina dopo, al primo spuntar del soie, dovevo recarmi all'università per un abboccamento col vice-rettore già fissato per me dalla mia cortese guida. Il vice-rettore era un bel vecchione corpulento a gran fatica contenuto in un'ampia cappa bianca dalla quale uscivano soltanto due mani enormi ricamate da vene rigonfie e da peli ruffi. Gli chiesi quale fosse l'insegnamento fondamentale dell'università ed egli mi rispose ciò che di già sapevo o immaginavo: quasi tutte le materie si riferivano al fuoco.
   «V'è un corso — mi disse —che tratta della scoperta dei modi di produrre il fuoco a volontà, scoperta che segna il vero principio della civiltà umana perché non si concepirebbe la vita, anche ai nostri tempi, senza il potere che ha l'uomo di accendere e conservare il fuoco, di ottenere quelle alte temperature che permettono di sfruttare la potenza del vapore, di fondere i metalli e di portare la distruzione e la morte tra i nemici. Il geniale cavernicolo, che riuscì per il primo a suscitare la fiamma con una selce o con due pezzi di legno, ha nella storia umana una importanza superiore a quella di tutti i più famosi inventori, perché senza di lui le altre invenzioni non sarebbero state concepibili né attuabili. Un altro corso esamina la parte che il fuoco ha sempre avuto nella storia delle religioni e delle filosofie. Voi sapete che i sacrifici offerti alle antiche divinità richiedevano quasi sempre il fuoco e sapete anche che gli ultimi fedeli di Zarathustra, che vivono non lontani dalla nostra città, sono noti come gli adoratori del fuoco. Gli stessi cristiani, benché contrari alla vecchia idolatria, videro scendere lo Spirito Santo sulle teste degli Apostoli sotto forma di lingue di fuoco. E non c'è bisogno di ricordare che in quasi tutte le religioni la maggior pena inflitta ai peccatori nell'altra vita è la fiamma. Le più terribili cerimonie, dalla Cartagine di Amilcare alla Ginevra di Calvino, furono illuminate dai riverberi del fuoco omicida. Le cataste destinate alla combustione dei reprobi e delle maliarde fiammeggiarono in Europa fino al Settecento. La prova del fuoco fu creduta nel Medio Evo una testimonianza irrefutabile del giudizio di Dio.
   Passando alla filosofia è noto a tutti che il più profondo dei presocratici, cioè Eraclito, affermò essere il fuoco il principio di tutte le cose. Gli stoici costruirono tutta la loro cosmogonia sull'idea di cicli di creazione e distruzione segnati appunto da un incendio cosmico che annientava il vecchio universo per dare luogo a uno nuovo.
   Il nostro insegnamento della storia universale s'ispira sempre allo stesso metodo. Infatti la storia degli uomini può essere spartita in lunghe o corte tappe contrassegnate dalle lingue rosse e dalle fumaglie nere dei più famosi incendi. Alcuni storici prendon le mosse dall'incendio di Sodoma e chiudono la prima età all'incendio di Troia; altri vanno dall'incendio di Troia all'incendio di Babilonia, poi dall'incendio gallico di Roma a quello nei oniano. I tem¬pi moderni cominciano con l'in¬cendio di Alessandria d'Egitto per opera dci mussulmani oppure dall'incendio di Bisanzio dopo la conquista dei Turchi e considerano un nuovo periodo quello che va dall'incendio di Londra a quello di Mosca del 1812. L'età contemporanea ha inizio coi famosi incendi dalla Comune di Parigi del 1871 che furono l'annunzio dell'epoca socialista come l'incendio di Hiroshima ha inaugurato l'era atomica.
   Non si tratta, come vedete. dell'idea fissa di una città impazzita, ma del riconoscimento di una verità dimostrabile e inconfutabile, cioè che il fuoco, sia come simbolo che come realtà, è alla base dell'esistenza del mondo creato e della vita del genere umano. Non per nulla gli antichi lo ritenevano il più divino dei quattro elementi perché ha la tendenza ad ascendere verso l'alto, cioè verso la sua patria che è il cielo. Ma la profezia dell'Apocalisse, secondo la quale il fuoco pioverà dal cielo si è avverata soltanto ai nostri giorni, mercé l'umanitaria invenzione degli aeroplani da bombardamento».

* * *
   Ringraziai come maglio seppi il dotto vecchione e dissi alla mia guida che volevo lasciare Piropoli quella mattina stessa. Ma egli mi pregò, anzi mi scongiurò di rimanere fino alla sera per farmi assistere a spettacoli — diceva lui — che non avrei potuto vedere in nessuna altra parte del mundo. Persuaso dall'indolenza più che dalla curiosità mi lasciai tentare dalla sua garrula insistenza e fui punito da una doppia delusione. La sera, dopo cena, egli mi condusse un po' fuori dalla città in un recinto che sapeva di fiera e dove si pagava abbastanza caro il diritto di entrare. Non vidi là dentro che una modestissima montagnetta camuffata in vulcano artificiale dal quale uscivano ogni tanto mazzi di faville e funghi di fumo e in fondo a una vasta grotta una specie di rappresentazione allegorica dove qualche dozzina di fantocci fuligginosi si contorcevano goffamente tra le spire di fiamme finte. Questo spettacolo, a quanto mi assicurò la guida, raffigurava l'inferno ed era ripetuto ogni sera a spese di una tribù vicina.
   La mattina dopo, al primo alborea lasciai quella infernale città che pochissimi viaggiatori hanno visitato, ma che forse potrebbe insegnare qualche cosa anche ai più freddolosi pensatori dell'Occidente.


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